Il 16 ottobre prossimo alla Camera dei Deputati, sarà discusso il disegno di legge 1294 che introduce nel nostro sistema giudiziario l’ammonimento per il reato di stupro e diffusione di video sessualmente espliciti (cosiddetto revenge porn).
I Centri antiviolenza della rete D.i.Re hanno espresso forti critiche al disegno di legge che introduce altre misure di contrasto alla violenza contro le donne ed hanno chiesto l’eliminazione della parte che riguarda l’ammonimento. Si tratta di una procedura amministrativa che sarebbe avviata dietro consenso della donna, e che di fatto costituirebbe una sorta di depenalizzazione del reato di stupro.
Le avvocate D.i.Re hanno spiegato che l’ammonimento per lo stalking ha una ratio precisa e riguarda un reato commesso in modo progressivo – si auspica che l’ammonito smetta prima di una escalation, anche se le esperienze delle donne accolte dai centri antiviolenza raccontano altro – ma l’introduzione dell’ammonimento per la violenza sessuale che è un reato completamente integrato una volta commesso, è irricevibile.
La gravità dell’introduzione dell’ammonimento per il reato di violenza sessuale è nel risultato che produrrebbe: depenalizzare la violenza sessuale, in palese violazione della Convenzione di Istanbul che chiede la criminalizzazione di questo reato. Si tratta di un fatto grave anche tenendo presente che la violenza sessuale stenta ad essere riconosciuta nel suo disvalore ed è denunciato solo nell’8% dei casi.
“Non riusciamo a comprendere quale sia il principio che ha guidato la redazione di questa proposta. Come già più volte dichiarato, la Rete nazionale dei Centri antiviolenza non vede con favore la procedibilità d’ufficio nei casi di violenza sessuale, perché questa modalità non tiene conto dei tempi e della volontà delle donne.” – dichiara Elena Biaggioni, vicepresidente D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza. “È invece urgente e fondamentale che – una volta attivato il processo di denuncia dalla donna, questo segua binari certi ed efficienti, senza che la vittima debba percorrere un nuovo calvario di rivittimizzazione” continua Biaggioni. “Quando una donna decide di parlare e denunciare una violenza sessuale, deve seguire un procedimento penale non una reprimenda, una sgridata con l’intimazione al violento di non farlo più” conclude la vicepresidente.